Terra: esistono pianeti simili al nostro nell’universo?

I pianeti con la conformazione simile alla Terra potrebbero essere davvero pochi: molti astri non emettono radiazioni.

Esistoni pianeti simili alla Terra nell’immensità dell’universo? Le possibilità sono poche, anche perché pianeti con la conformazione simile alla nostra potrebbero essere davvero pochi. Il nostro pianeta è caratterizzato da una peculiarità che gli altri mondi (almeno quelli che conosciamo) non hanno: la vita. Un grande miracolo, ma anche un grande mistero. Un’esclusiva del nostro mondo e, ancora oggi gli scienziati non sono riusciti a comprovare l’esistenza di forme di vita viventi extraterrestri. La fianiamo qui? Niente affatto! La nostra Terra ha un’ulteriore peculiarità: l’acqua allo stato liquido.

La Terra è circondata da una spessa magnetosfera e da un’atmosfera che la proteggono dai raggi solari: numerose le disponibilità di elementi come ossigeno, azoto, carbonio, idrogeno e la nostra stella, il Sole, che ci dà luce, calore e (appunto) vita. Il nostro pianeta possiede, inoltre, un efficiente meccanismo biochimico atto alla conversione del marteriale inorganico in biomassa. Bisogna però menzionare anche un ulteriore fenomeno senza il quale non sarebbe possibile la maggior parte della vita presente sulla Terra, ovvero, la fotosintesi ossigenica.

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Terra: esistono pianeti con processi simili al nostro?

Un team di ricerca coordinato da astronomi dell’Università Parthenope associati dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Università di Napoli Federico II ha pubblicato un interessante studio sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. La ricerca ipotizza la presenza del precitato processo anche su altri esopianeti di tipo roccioso (simili dunque alla Terra) con condizioni adatte alla presenza di vita. Si è valutato quale tipologia di stelle avesse le caratteristiche termodinamiche ideali per ospitare la vita.

Sull’analisi dei pochi esopianeti di tipo roccioso conosciuti e sulla raccolta di ulteriori dati, si è giunta alla conclusione che trovare pianeti con condizioni simili alla Terra sia davvero difficile. Il professor Giovanni Covone, docente presso  l’Università di Napoli Federico II e associato INAF, ha fatto comprendere come “la fotosintesi svolge un duplice ruolo nell’esistenza della biosfera terrestre: è fonte di cibo organico e fonte di ossigeno molecolare per il metabolismo” e poi ancora: “Sulla Terra gli organismi viventi sfruttano la fotosintesi ossigenica per produrre elementi organici, raccogliendo la luce solare perlopiù nella gamma visibile dello spettro elettromagnetico, e per produrre ossigeno molecolare, un altro elemento essenziale per la vita complessa come la conosciamo”.

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L’importanza della fotosintesi

La fotosintesi comparve sulla Terra circa oltre 2,4 miliardi di anni fa. Tale processo coinvolge elemti chimici che sono in teoria comuni sugli esopianeti rocciosi. Questo meccanismo biochimico, secondo gli autori della precitata ricerca, potrebbe essere un processo universale volto alla produzione di biomassa in ogni parte dell’universo. Il professor Covone ha precisato: “Ci siamo domandati se la fotosintesi ossigenica potrebbe sostenere una grande biosfera su un esopianeta roccioso nella zona abitabile di una stella la cui radiazione sia diversa da quella solare”. La risposta, purtroppo, sembra negativa.

Il risultato raggiunto dal team di Covone

Giovanni Covone ha aggiunto: “Abbiamo calcolato il flusso di fotoni ricevuto da dieci pianeti rocciosi noti e in orbita nella zona abitabile delle loro stelle: nessuno ha le condizioni teoriche per sostenere una biosfera simile alla Terra mediante la fotosintesi ossigenica” e poi ancora: “E solo un pianeta di questo campione riceve un flusso utile vicino a quello necessario per mantenere una grande biosfera: è Kepler-442b, un gigantesco pianeta roccioso con circa il doppio della massa terrestre, in orbita attorno a una stella moderatamente calda a circa 1200 anni luce da noi”.

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Quali sono i pianeti abitabili?

Per essere abitabile un pianeta deve in primis avere acqua, poiché l’acqua è fonte di ossigeno. Si tratta di elementi basilari per garantire la presenza di forme di vita, anche semplici. Come informa Focus.it, al momento soltanto dieci esopianeti sono stati classificati come abitabili. Lo studio ha agito in maniera tale da mettere a confronto la quaantità e la qualità della radiazione stellare che va a investire un pianeta roccioso nella zona abitabile con la temperatura della sua stella e la distanza tra la stella e il pianeta.

La temperatura superficiale di un astro va a determinare sia quanto una stella è luminosa, sia lo spettro della radiazione emessa. Tali sono le due importanti variabili che vanno a determinare il processo di fotosintesi ossigenica. Ora, quando si va nno a studiare i vari corpi celesti, bisogna avere la consapevolezza che la differenza tra sterilità e abitabilità di un pianeta è molto labile. Come fare dunque? C’è da dire che le stelle non possono fornire una grande quantità di fotoni e la loro efficienza non è elevata da questo punto di vista.

Riguardo alle stelle calde di quasi 8000 gradi kelvin non hanno una durata di vita sufficiente per garantire la nascita della vita su un determinato esopianeta, almeno come la conosciamo sulla Terra. Il Sole ha una temperatura effettiva di circa 6000 gradi kelvin emettendo quasi il 40% della sua energia durante l’intervallo della radiazione fotosinteticamente attiva, denominata brevemente come PAR. Gli astri con più calore offrono le possibilità perun numero maggiore di forme di vita, perché, in quanto più luminose, emettono più radiazioni PAR.

La scoperta dei ricercatori ci fornisce un’altra importante informazione:gli astri più freddi del Sole sono di conseguenza più deboli e, quindi, emettono gran parte della loro radiazione nel vicino infrarosso. Le stelle che presentano una temperatura inferiore ai 3.700 gradi kelvin non possono garantire una complessa moltitudine di forme di vita come quella presente sulla Terra. I corpi celesti intorno agli astri con minor calore, inoltre, potrebbero addirittura non ricevere un numero sufficiente di fotoni per l’attivazione della fotosintesi.

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